Chi mi segue su facebook magari siè già accorto di una cosa che in questi giorni mi sta facendo parecchio arrabbiare: e cioè l’uso delle foto senza permesso.
Premessa: come ho spiegato qui, le mie foto sono caricate su flickr dove c’è scritto a chiare lettere che tutti i diritti sono riservati e che le foto non vanno usate senza il mio permesso.
Solo dopo, le uso nel mio blog: in questo modo, la prima pubblicazione è associata ad un copyright esplicito e NESSUNO potrà mai vantare date di pubblicazione anteriore alla mia (e ben visibile nei dati pubblici della foto).
Ma niente da fare: non basta. Le mie foto continuano arricchire pagine di siti che neppure conosco e che evidentemente sono convinti che né il tempo che ho speso per imparare, né i soldi che ho speso per attrezzature fotografiche, né – tantomeno – quello per i viaggi nei luoghi in cui ho scattato valgano qualcosa.
La cosa più bella?
Questo disclaimer, che mi ritrovo a leggere sempre più spesso.
Le foto riprodotte in questo sito provengono in prevalenza da Internet e sono pertanto ritenute di dominio pubblico. Gli autori delle immagini o i soggetti coinvolti possono in ogni momento chiederne la rimozione, scrivendo al nostro indirizzo di posta elettronica.
Come sarebbe a dire? prima me le freghi e poi, se me ne accorgo, sei disposto a restituire il maltolto e magari pretendi pure di essere ringraziato? Intanto però la tua foto mi ha danneggiato, perché caricata abusivamente e senza copyright maagari è stata utilizzata anche da altri.
Come se io andassi al bar, insomma, e mentre sto in fila in cassa iniziassi a mangiare le caramelle e i biscotti esposti – offrendone in libertà agli altri clienti – per poi rispondere, al momento di pagare, che non vedo perché dovrei farlo visto che erano in esposizione e quindi a pubblica disposizione.
Oppure quelli che pensano di essere a posto, mettendo i credit alla foto. Ora, a parte il fatto che lo devo dire io come autrice della foto se mi bastano i credit e se voglio o no apparire sul vostro sito – che magari, perdonatemi il termine, può anche farmi schifo perché (come mi è accaduto) è un sito razzista e bufalaro – la cosa bella è magari mettono il nome senza link al blog, che in internet è peggio dell’anonimato. Oppure, foto da flickr: ma bravo, e come mai hai visto la foto e non il divieto di usarla? O, ancora, da pinterest: no caro, pinterest non ha foto sue è solo un sistema di collegamenti. E ti sarebbe bastato un click per scoprire di chi è la foto e se sia possibile o meno usarla.
Ma vi pare possibile? Io dico di no. E aggiungo anche che su questa partita bisogna iniziare a mettere dei punti fermi. Ma fermi davvero. Perché non è vero che anche se siamo foodblogger per passione il nostro lavoro non vale nulla: vale, altrimenti non lo utilizzerebbe nessuno, e noi dobbiamo imporci per ottenerne il rispetto.
MA IN CHE MODO POSSIAMO DIFENDERE IL NOSTRO LAVORO?
Innanzitutto, iniziando a scattare in raw (il possesso del quale resta la prova incontrovertibile della proprietà della foto) e custodendo questi gelosamente.
Iniziando poi a usare gli strumenti on line che permettano di stabilire con esattezza chi per primo abbia pubblicato una foto (e flickr è uno di questi).
Sfruttando la tecnologia e inserendo nei meta dati in fase di scatto o di post produzione il nostro nome.
E soprattutto rivolgendoci, qualora tutto questo non bastasse, ad un avvocato per il rispetto dei nostri diritti.
Ecco, questo il punto dolente mi direte: andare da un avvocato costa, e senza certezze di ritorno economico – diventa troppo oneroso anche un semplice consulto. Poi diciamocelo: gli avvocati che ne capiscono di digitale non ci sono: sono pronta a scommettere che se dite al vostro avvocato che avete il RAW lui pensa ad una malattia infettiva, o qualcosa del genere.
Riflettendo su questa cosa, però, mi è anche venuta in mente un’idea che può anche assomigliare ad una soluzione. Se ci riflettiamo un po’ su, appare chiara una cosa: queste vicende non hanno bisogno di consulenza, sono tutte uguali, hanno cause e soluzioni univoche. Per cui, trovando un avvocato che conoscegià questi aspetti legali, si può ridurre drasticamente il suo costo azzerando le spese di consulenza e muovendosi in modo rapido ed efficace per chiedere il rispetto della legge.
Ecco, io l’avvocato l’ho trovato e abbiamo iniziato un lavoro in comune partendo dalle foto rubate a me che ha già dato i primi risultati concreti. Ora stiamo allargando il tiro, provando con alcuni associati di slowthinking (lo sapete già, vero, che a noi piace fare rete?) e prossimamente, se la cosa – come credo – continuerà ad offrire buoni risultati offriremo la possibilità anche ad altri blogger di avvalersi del suo aiuto, attraverso spazi dedicati: un sito web, per esempio, o una pagina web.
Che ne dite, vi piace l’idea di iniziare a chiedere il rispetto del vostro lavoro anche sotto forma economica?
Insomma, iniziate a raccogliere i dati sulle foto che vi hanno rubato che presto vi torneranno utili… scommettiamo?