Ultimamente, amo molto preparare risotti. Per cui ho deciso di fermarmi un attimo per provare a mettere in fila quello che ho capito io su come si prepara il risotto.
Consentitemi però di partire dalla critica del luogo comune secondo cui il riso non è cosa per meridionali. A sud si mangia pasta, il riso – almeno secondo questo teorema – sarebbe roba da nordici. Se non altro, in virtù del fatto che è a nord che si coltiva. Ecco, questo è falso. Non è vero che i meridionali con il riso non abbiano confidenza: Vi dicono niente, le arancine di riso siciliane, per esempio? Non sono solo un ottimo cibo da strada ma la testimonianza di un passato siciliano fatto di coltivazioni di riso: fin oltre la metà dell’Ottocento il riso era coltivato in quasi tutte le pianure fluviali della Sicilia e preparazioni a base di riso erano presenti anche nella cucina napoletana – il sartù e le palle di riso.
Detto questo, passiamo al riepilogo di quello che ho capito io su come si prepara il risotto.
Primo punto, la scelta del riso
Non è un dettaglio da poco, questo: il riso – meglio se a grana corta – deve essere ad alto contenuto di amido. Questo consentirà la cremosità finale tipica di un risotto perfetto. Deve poi tenere la cottura ma senza diventare colloso: io preferisco il carnaroli ma anche l’arborio e il vialone nano sono adatti allo scopo. E – quando posso – non mi accontento di riso del supermercato. Per un gran risotto, ci vuole un gran riso: In questo caso, per esempio, ho usato il Carnaroli di Zaccaria
Secondo punto, il brodo
Scrivo brodo per semplificare ma non è detto che il liquido di cottura debba essere necessariamente brodo (inteso nel senso di brodo di carne). Nel caso di risotti di verdura, per esempio, io preferisco fare un brodo rovesciato veloce con gli scarti di questa: per esempio, per un risotto ai carciofi, utilizzo la parte interna del gambo, dopo averla ripulita dalla parte esterna e fibrosa. Lo stesso per quasi tutti i risotti – ovviamente, il risotto di pesce rappresenta un modo a parte e il brodo varia a seconda del pesce, o mollusco, utilizzato.
Terzo, il soffritto
Io sono della scuola “soffritto a parte” anche per il risotto e non solo per il ragù. Questo perché mi piace soffriggere a lungo le verdure, a fuoco basso: passaggio necessario se si usa il burro a questo scopo. Se non è chiarificato, che sarebbe il massimo, infatti, il burro fatto andare a fuoco vivace finisce per prendere quel sentore di bruciato non sempre gradevole. Per cui, soffriggo la cipolla (o altro, dipende ovviamente dalla ricetta) e poi la tiro via, tenendola al caldo. Tosto quindi il riso, a fuoco vivace, e poi la riaggiungo, prima di aggiungere il vino. Trovo che in questo modo la cipolla acquisti una cremosità particolare, che la fa confondere con la cremosità finale. Regalando sapore, quindi, ma in modo sempre discreto.
Quarto, il vino
Su questo, leggo pareri quasi unanimi: vino secco. Anche qui, non è detto: la risposta giusta alla domanda su quale sia il vino più adatto nella preparazione del risotto è: DIPENDE. Per esempio, un risotto al taleggio o gorgonzola: berreste mai un vino secco mangiando questi formaggi? No, vero? E allora, perché mai dovreste aggiungerlo al vostro risotto? Per quanto mi riguarda, io sfumo il risotto con lo stesso vino che ci berrei sopra. Scegliendo persino a volte di non sfumare affatto e di accompagnarlo ad una riduzione (ma qui, Oldani docet).
Sesto, mescolare o non mescolare durante la cottura?
Ecco, la discussione qui spesso si incendia. Io, lapidatemi pure, ma non ho trovato molte differenze tra un riso mescolato durante tutta la cottura ed uno non mescolato. Dal mio punto di vista, è importante la quantità del brodo e l’intensità del calore proveniente dal fornello. Se il fuoco è giusto, e si ha l’accortezza di aggiungere brodo bollente alla bisogna (oppure se si è abbastanza bravi da indovinare sin da subito la quantità necessaria), si può fare a meno di mescolare continuamente (cosa che io trovo addirittura dannosa, visto che rischia di trasformare il risotto in un pappone inconsistente). Basterà una mescolatina di controllo ogni tanto, giusto per sorvegliare la quantità di brodo e il grado di cottura.
E quando è pronto?
Per quanto mi riguarda, il riso è cotto quando è ben al dente. Questo, per un motivo semplicissimo: continuerà a cuocere durante la mantecatura, anche se questa avviene a fuoco spento. Una volta messo nel piatto, deve essere fluido e cremoso: se inclinate il piatto, il risotto deve muoversi nel suo insieme scivolando verso il basso. Deve fare l’onda, insomma: e per ottenere questo risultato occorre imparare a dosare il brodo nella fase finale della cottura.
Il gran finale: la mantecatura
Ecco, qualunque sia il risotto che state facendo, la mantecatura è il passaggio fondamentale che distingue un risotto vero da un normale piatto di riso. Si aggiunge il burro (e altro, per esempio il formaggio – se previsto dalla ricetta – e si rimescola freneticamente per ALMENO un minuto: questo serve a montare il burro e al tempo stesso a rompere la cuticola dei chicchi in modo da creare, grazie alla fuoriuscita dell’amido, quella consistenza cremosa tipica di un vero risotto.
E parlando di mantecatura mi viene in mente un dettaglio che avevo trascurato: quale pentola?
Partendo dal presupposto che che l’acciaio in cucina non è mai granché, e che il meglio restano rame e alluminio, non è tanto il materiale a fare la differenza, quanto – piuttosto – la forma. Meglio lasciar perdere padelle o teghami larghi: per una manatecatura efficace, sicuraemnte meglio un tegame dal fondo stretto ma dalle pareti un po’ alte. Giusto per non ritorvarsi a raccogliare in riso sul piano di cottura, insomma. sapori si omogeneizzino.