Uno dei momenti più emozionanti del tour napoletano che ho vissuto grazie alla vittoria Food Blog Awards 2016: l’incontro con Lello Esposito. Sicuramente uno dei maggiori artisti napoletani, le cui opere si concentrano in modo particolare sui simboli di Napoli, quali Pulcinella, San Gennaro, Vesuvio.
L’incontro è avvenuto nel suo studio, situato in quelle che furono le scuderie del Palazzo di Sangro risalente al 1500. Ma già prima, durante la passeggiata, avevo avuto di modo di apprezzare da vicino una delle sue opere sicuramente più note e più viste in città: il Pulcinella di vico del fico al Purgatorio (via dei tribunali, un attimo prima di arrivare da Sorbillo) donato dall’artista alla città.
Io non so cosa avesse in mente Lello Esposito donando questo Pulcinella alla città di Napoli. Ma so che il punto dove è stato collocato è in grado di regalare alla scultura una bellezza commovente. Non c’è infatti separazione tra i colori del vicolo e quelli della statua, e quello che viene fuori è la perfetta fusione tra personaggio e luogo. Quasi un simbolo, insomma, di quanto questa maschera possa davvero rappresentare la città: semplicemente perché – alla fine – Napoli e Pulcinella sono due aspetti della stessa anima.
Durante la visita all’atelier, però da una cosa sono stata letteralmente rapita: la potenza degli Occhi di San Gennaro.
Una scultura imponente, diversa dalla rappresantazione classica delle figure religiose: che si solito sono collocate su un piedistallo in modo da poter essere guardate solo dal basso verso l’alto, mantenendo quindi i fedeli in condizione di inferiorità, come si conviene a chi prega.
Gli occhi di San Gennaro di Lello Esposito, invece, sono all’altezza dello sguardo di chi osserva: mettono santo e osservatore sullo stesso piano. Un concetto particolare che provo a spiegare ricordando un nome: Massimo Troisi. E un video: quello su San Gennaro, appunto. Chi non lo ha visto, lo trova qui.
In questo spezzone, più che comicità, c’è un pezzo di Napoli, di anima della sua gente. C’è il racconto del suo rapporto con la religione e coi santi. Fatto di venerazione, certo, ma anche di affetto fraterno. Per questo, non solo amorevole ma anche a volte litigioso, se non addirittura minaccioso. Perchè il santo, per il napoletano (e san Gennaro in particolare) non è un’entità lontana. E’ stato uomo, prima di essere santo e questo lo rende una figura familiare, un compagno di viaggo, in grado quasi di porsi come intermediario con Dio.
San Gennaro conosce Napoli, conosce i suoi abitanti e di loro sa tutto: la loro fatica di vivere, il loro dolore quotidiano, la sofferenza nascosta dietro la maschera di ilarità appiccicata dai luoghi comuni. Dio no, non ha tempo per tutto questo. Lui è grande ma per questo anche un po’ snob: ha altro da pensare. Per questo il napoletano si affida al Santo piuttosto che a lui: e il miracolo del sangue continua a restare un simbolo di speranza per questa città. Quello dell’impossibile che incredibilmente, può divenire possibile, anche se solo due volte l’anno.
Ecco, io non so se Lello Esposito avesse in mente questo: ma mi piace pensare che il suo pensiero non sia poi tanto distante da questa idea. In fin dei conti, lui e Massimo Troisi erano amici – mi pare siano stati a scuola insieme – per cui nulla di più facile che entrambi siano caratterizzati dalla stessa idea di napoletanità. E, appunto, dallo stesso modo di guardare negli occhi San Gennaro.
Insomma, se amate Napoli, e volete davver scoprire tutti i suoi aspetti, non trascurate di cercare di scoprire qualcosa di Lello Esposito. Fosse solo la statua del Pulcinella di cui parlavo prima.
E intanto, accontentatevi di qualcuno dei miei scatti che – spero – vi metteranno un po’ di voglia di scoprire Napoli e le sue meraviglie.
PS. A proposito della religiosità dei napoletani, mi viene in mente una foto scattata da Luciano De Crescenzo e pubblicata ne “la Napoli di Bellavista”, all’indomani della cacciata del Santo dal Calendario dove il piedistallo della statua è coperto da un cartello scritto a mano: “San Gennà, futtatenne”.
Cose che si dicono, appunto, ad un compagno di viaggio. Perchè con questi si litiga, sì, ma quando è necessario, ci si ferma a consolarli.