Uno spettro si aggira per i social networks, lo spettro di uno scontrino. Guardatelo: bianco e stropicciato ma ben chiaro nelle cifre indicate.
100 euro per 4 caffè e un po’ di musica. Dove? A Venezia, al
Gran Caffé Lavena (che, confesso, non ho il piacere conoscere ma basta guardare il sito per avere un’idea che non è proprio il solito caffé sotto casa). Da giorni, questo scontrino imperversa nelle nostre home pages, facendo il pieno di commenti indignati e scandalizzati. Addirittura, mi è capitato di incrociare titoli di giornali che parlavano di “scontrino choc”.
Ma cosa è successo esattamente?
Ecco i fatti, almeno stando a quanto unanimamente riportato dai giornali: un gruppo di turisti romani va in questo bar, ordina quattro caffè e al momento di pagare rischia un infarto grazie al conto.
Uno scandalo, assolutamente, da far conoscere al mondo. Smartphone in mano, quindi, si scatta la foto: allo scontrino, appunto, subito condivisa su facebook.
Ora, passi che per come vanno le cose in Italia, già il fatto che uno scontrino così sia stato emesso, mi pare deponga già a favore dell’esercente, a me onestamente verrebbe da fare un paio di domande a questi turisti.
Innanzitutto: ma nel momento in cui vi siete seduti, non c’era sul tavolo un menù? E su questo menù, non c’erano i prezzi riportati, supplemento musica compreso?
Capisco che possa sembrare un dettaglio da poco, questo, ma onestamente non credo che lo sia. Perché *se non c’era* male avete fatto a non chiamare i vigili (i prezzi DEVONO essere esposti, questo lo sanno anche i bambini). Ma se, come sostiene il proprietario del bar i prezzi erano esposti, che senso ha indignarsi davanti ad un conto del genere?Insomma, a me sembra di capire che delle persone siano andate *liberamente* a Venezia – dove si sa che è cara pure l’aria che si respira – e (sempre liberamente) abbiano scelto di sedersi in un posto di un certo livello dove, puntuale, è poi arrivato il conto. Delle due l’una, quindi: o erano ignari, e magari anche un po’ coglioni (detto affettuosamente, si intende) e quindi hanno sbagliato bar oppure hanno voluto, complice il clima vacanziero, scegliere di vivere un momento indimenticabile, di quelli “costi quel che costi”.
Qualunque sia stata la causa, insomma, a me una sola cosa mi viene da chiedermi: ma ora, di cosa si lamentano? E soprattutto, di cosa mi dovrei indignare guardando quella cifra? Se c’è qualcosa che mi lascia perplessa è pensare di andare a Venezia per andarmi a sedere in un un posto del genere. Ma io, si sa, son gastrofighetta: ai sottofondi musicali dei bar, preferisco quello delle onde. E il mio caffé lo preferisco *da asporto* e magari sorseggiato mentre sto seduta sui gradini di un ponte. Mentre guardo l’acqua e i suoi riflessi: perché anche le gondole, ormai, di tutto sanno tranne che di autenticità.
Ps. Insomma, per dirla tutta ,vorrei un Arfio anche per Venezia. “Turista ti educo, Venezia ti amo”. Perché a volte, più che indignazione, è di *educazione* che sento il bisogno…