Ci sono cibi che, più di tutto, sanno di nostalgia. Come l‘uovo a filoscio, appunto.
Pochi ingredienti poveri, messi assieme senza tante complicazioni. E pochi piccoli gesti: il su e giù della lama che affetta sottile la provola – questa, meglio se un po’ asciutta, se non addirittura secca, come il più classico degli avanzi da frigo – e il roteare veloce di forchetta in un piatto, per sbattere le uova. E poi la cottura: veloce, accompagnata dallo sfrigolare dell’olio.
Sono sempre andata pazza per questa frittata, anche quando ero piccola: era la cena del ripiego improvviso, di quando cioè in casa proprio non c’era nulla altro. E proprio per questo, aveva il sapore di una sorpresa. Spettava a mio padre prepararla: non cucinava mai, e anche forse i suoi piatti mi sembrava avessero un sapore particolare, diverso dalla cucina di tutti i giorni a cui ci aveva abituato mia madre.
Un sapore, allora, fatto di meraviglia. Oggi, invece, di nostalgia.
Come si prepara l’uovo a filoscio
Per due persone servono:
4 uova (come dice Maria: “con meno uova, non è filoscio)
1 etto di provola affumicata (ho usato quella de La Tramontina)
olio e.v.o.
pepe nero
sale
poca mollica di pane raffermo
Procedimento
Prima di tutto, affettare sottilmente la provola. Poi, rompere le uova e sbatterle leggermente con una forchetta. Aggiungere un po’ di sale, di pepe nero macinato al momento e la mollica di pane..
Versare nella padella quando l’olio extravergine di oliva è ben caldo: aspettare che si ispessisca e disporre le fette di provola in modo da coprire la superficie di quella che, lentamente, sta iniziando ad assomigliare ad una frittata.
A questo punto, inizia la manovra (per nulla semplice, ma per reimpararla ho rotto le scatole ad Antonia) per farne un filoscio: cioè si inizia a ripiegare su se stessa la frittata fino a quando non appare ben cotta.
Ovviamente, va servita calda. Con formaggio colante, cioè.
Senza questo, infatti, non è filoscio.