La ricetta della pastiera napoletana è il primo passo della staffetta sulla Pastiera decisa, studiata, approfondita da noi del gruppo Compagni di Blogger. Partiamo oggi proprio con la pastiera classica, dolce di tradizione che tanto ha resa famosa Napoli. A voi le origini, la simbologia e la mia ricetta. Con la partecipazione straordinaria di Luciano Pignataro, che completerà le nostre ricette con il consiglio di cosa berci su, per accompagnarla al meglio.
La leggenda
Diverse sono le leggende legate alla pastiera. Una di queste, lega la sua storia a quella della sirena Partenope che aveva deciso di fissare la sua dimora nel golfo di Napoli, incantata dalla bellezza dei luoghi.
Una volta l’anno, in primavera, riemergeva dalle acque azzurre per salutare gli abitanti del golfo che, ammaliati dalla dolcezza del suo canto, decisero di regalarle quanto di piu’ prezioso possedevano.
Furono scelte sette fanciulle ed a ciascuna di queste fu affidato un dono: la farina, simbolo di forza e ricchezza; la ricotta, fatta di latte, fonte di vita e di salute; le uova, simbolo anche esso di vita ma al tempo stesso di rinnovamento; il grano bollito nel latte, quasi una simbiosi tra due regni della natura; l’acqua dei fiori d’arancio , profumo di primavera e di rinascita; le spezie, profumo di terre lontane; miele , per raccontare la dolcezza del canto di Partenope.
La sirena fu felice per i tanti doni, e ritornò alla sua dimora, in fondo al mare. Depose i doni ai piedi degli dei che li mescolarono, trasformandoli nella “Pastiera”.
La storia
Questa la leggenda. La storia, invece, riporta la pastiera ai riti pagani del periodo che oggi corrisponde al periodo pasquale – già, anche in questo caso, il calendario cattolico non ha fatto altro che appropriarsi di riti già esistenti – che festeggiavano il ritorno della primavera. In queste feste, la dea Cerere veniva omaggiata da dolci poveri a base di farro o grano e ricotta ed uova, simboli di fertilità, di vita e rinascita.
Da qui, l’abitudine anche di prepararla per la Pasqua cristiana. Cambiata solo la simbologia, da rinascita primaverile a resurrezione di Cristo. Tradizione vuole poi che venga preparata tre giorni prima, perché Cristo fu morto per tre giorni e solo dopo questi resuscitò. Anche in questo caso, la ragione vera è molto concreta: il suo sapore e la sua consistenza hanno bisogno di un assestamento. Dopo tre giorni si esaltano profumi e morbidezza, ed il gusto si accentua. Se mangiata troppo in fretta, sa davvero di poco.
Come prepararla?
La pasta frolla
Questa, va preparata il giorno prima facendola poi riposare al fresco per una notte intera. In questo modo, stenderla diventa davvero facile, e si otterranno strisce perfette che non si spaccheranno in cottura. Sugli ingredienti, le cose fondamentali da sottolineare sono due: la qualità della farina (che deve essere debole, a scarso contenuto di glutine) e il grasso: strutto, assolutamente strutto. Ovviamente questo deve essere di ottima qualità e freschissimo: da noi si preparava in casa, e si metteva da parte il più puro (quello di affioramento), destinandolo proprio agli usi di pasticceria. Se non siete sicuri della qualità di quello che avete a disposizione, potete sicuramente preparare una frolla con il burro: sappiate però che otterrete qualcosa di diverso dalla pastiera tradizionale.
500gr farina a bassa contenuto di glutine
3 uova intere
200gr zucchero, possibilmente a velo
200gr strutto
Le modalità di preparazione sono le solite. Impastatela in fretta, formate una palla e mettetela a riposare in luogo fresco. Il resto, lo farà il tempo.
Il grano
Per quanto riguarda il grano, poi, potete certamente accontentarvi del grano che si trova già pronto in barattolo, al super. Ma se volete procedere da voi, procuratevi 200 gr ca. di grano intero, a chicchi, e mettetelo in acqua per 3 giorni cambiando l’acqua tre volte al giorno (la simbologia che ritorna, anche nei giorni di ammollo!). Sciacquatelo in acqua corrente e, quando è ben pulito, pesatelo. Tenendo presente per 500 gr. di grano è sufficiente una pentola con 5 litri d’acqua, mettetolo a cuocere a fiamma alta fino alla bollitura. Abbassate poi la fiamma e continuate la cottura per circa un’ora e mezza.
Pronto il grano, si può bassare al ripieno.
400 gr di grano già cotto
700gr ricotta di pecora
500 gr di zucchero
7 uova
essenza di vaniglia, o vaniglia in polvere (ovviamente, naturale)
acqua di fiori d’arancio
1 pizzico di cannella (se lo trovate, meglio l’estratto liquido- ovviamente naturale – che non “sporca” il ripieno)
scorza grattugiata di 1 limone
canditi di arancia, cedro e zucca (in tutto, circa 150 gr)
Innanzitutto, mettete a scolare la ricotta.
Per esempio, in un colapasta coperto da una garza o in un setaccio a trama fitta. Fatelo con quello che avete a disposizione, insomma. Ma fatelo. La ricotta acquosa e la pastiera non vanno d’accordo.
Poi, preparate il grano.
Pesatene 400gr già cotto e scolato ed unitelo a 1,5 dl di latte. Mettete il tutto in un tegame e aggiungete buccia di 1 limone (poi da togliere), 1 cucchiaino di zucchero, 1 noce di burro . Mettete a cottura a fuoco basso, mescolando spesso e lasciando cuocere fino a quando il composto non sia diventato ben cremoso.
Ora, il ripieno
Lavorare la ricotta con lo zucchero incorporando 5 uova intere, 2 tuorli e due albumi montati a neve.. Unire poi i canditi, il grano, le zeste del limone, la cannella, l’acqua di fiori d’arancio. Infine aggiungere le 2 chiare montate a neve.
A questo punto, il montaggio.
Foderare una teglia di circa 28 cm di diametro con la pasta frolla, versarvi quindi, livellandolo, il composto preparato e disporre sulla superfice delle strisce di pasta come per la crostata.
Infine la cottura.
Ultima cosa, la pastiera è nata a cottura a legna. Uno dei riti della pastiera, infatti, era anche quello di portare le pastiere al forno per la cottura, nonna, mamma e prole al seguito. Il forno era il forno del panettiere o del pasticcere del rione, dove dal primo pomeriggio, quando la temperatura del forno si era “addolcita”, iniziava la processione di coloro che portavano a cuocere le pastiere, ognuna contrassegnata in modo che non si confondesse con le altre. Una pratica difficile da seguire oggi, e anche non necessaria (visto che i forni casalinghi sono decisamente molto diffusi). La cottura nel forno elettrico però non è il massimo, dal punto di vista della riuscita di questo dolce: spesso, crea squilibri di cottura. Troppo cotta in superficie, spesso un po’ cruda sul fondo, soprattutto nella frolla. Per evitare questo problema, io – che non ho un forno a gas, che da questo punto di vista crea meno problemi – cuocio su refrattaria. Sì, la stessa che uso per cuocere il pane e la pizza (e che in realtà tengo sempre nel forno, anche quando non la uso): vi appoggio il “ruoto” direttamente sopra, per ricreare un ambiente di cottura il più possibile simile a quello del forno a legna. E, visti i risultati, è una cottura che mi sento decisamente di consigliare.
Come per tutti i dolci ricchi di uova, poi, occorre evitare il calore eccessivo: la cottura deve essere dolce e prolungata. Al massimo 160°, nel mio forno, per un’ora e mezzo almeno. Ma le indicazioni restano relative, da calibrare di volta in volta in base alle caratteristiche del proprio forno. L’importante, è che non cuocia a calore troppo alto (rischierebbe di sentirsi troppo l’uovo) e che a fine cottura la si faccia raffreddare un po’ nel forno caldo e socchiuso. E importante che la pastiera si asciughi bene: in questo modo, nei tre giorni di maturazione successivi alla cottura, si ammorbidirà al punto giusto grazie all’umidità naturale dei suoi ingredienti, raggiungendo la giusta cremosità. Quella che, insomma, riconoscete al taglio, dalle fette che non crollano su se stesse, presentandosi però perfettamente cremose all’interno.
Una volta sfornata, la pastiera si presenta così, asciutta in superficie.
Spolveratela quindi di zucchero a velo (magari vanigliato naturalmente) e dimenticatela per tre giorni. Passato questo tempo vi accorgerete che lo zucchero è scomparso e che al suo posto si è formata una crosticina umida e profumata. Ecco, quello è il segnale che la pastiera è ben matura e pronta per essere gustata al meglio.
Ma ora che è pronta, cosa ci bevo su?
Nella pastiera tradizionale il problema dell’abbinamento è la ricerca dell’acidità per evitare di stancare il palato. Allora scegliamo un bicchiere di territorio, la Falanghina Passito di Aia dei Colombi, siamo nel Sannio, ricca di verve e dotata di una dolcezza non stucchevole. Un boccone, un sorso, un boccone, un sorso. E chissà cosa finisce prima:-)
Luciano Pignataro Wine Blog
E mi raccomando: non perdetevi l’altra puntata di oggi:
… e le prossime!!!
Martedì 27:
Tinuccia: “La pastiera in Lucania”
Pasqualina: “La pastiera con grano passato, tipica di alcuni paesi dell’interno”
Mercoledì 28:
Daniela: “La torta di grano di Vincenzo Corrado”, antesignana della pastiera. Senza ricotta)
Sonia: “La pastiera consapevole”
Giovedì 29:
Sara: “Gelato di pastiera”
Venerdì 30:
Caris: “La pastiera salata “