Decisamente, avvicinandosi ad un piatto di genovese napoletana, fatta secondo la ricetta tradizionale, il profumo che si sprigiona è di terra. Terra le cipolle, terra il manzo – qualche volta, come in questo caso – accostato al maiale, terra il profumo del grano della pasta. Eppure a Napoli, probabilmente, la genovese ci è arrivata via mare: varie sono infatti le teorie sull’origine del nome di questo piatto ma quella che mi convince di più è quella che la vede nascere preparata per la prima volta da cuochi genovesi in una locanda alla “loggia di Genova” a ridosso del porto, come ama – meglio di me – raccontare Raffaele .
Origine del nome a parte, la Genovese napoletana è un piatto particolarissimo e squisito, praticamente sconosciuto al di fuori della Campania. Ma che vale la pena, almeno una volta, di provare a fare. Del resto, non è difficile.
Per una Genovese napoletana occorrono:
2 Kg di cipolle dorate, non rosse e non bianche ma “dorate”. Magari, di Montoro.
1 Kg di carne di manzo (o anche manzo e maiale) capace di sostenere una lunga cottura. Io ho usato un guanciale bovino, arrotolato e legato. E qualche costaiola di maiale, visto che carnevale me lo sono fatta con l’influenza e allora ho diritto al recupero.
Una carota e una costa di sedano
Un paio di bicchieri di vino (molti consigliano il secco ma io lo preferisco amabile, confesso)
olio d’oliva extra vergine prima spremitura a freddo ,
un cucchiaio abbondante di strutto,
un cucchiaino di estratto di pomodoro (facoltativo)
una foglia di alloro, facoltativa pure questa.
sale grosso e pepe nero, macinato al momento.
Ziti, possibilmente spezzati a mano: mezzo chilo.
Formaggio grattugiato, un etto circa: io ci vedo bene del provolone stagionato, o del caciocavallo. Che contrasti, arricchendo l’insieme, con il dolce della crema di cipolle che si ottiene a fine cottura.
Come si prepara
Prima di tutto, il soffritto. Io amo farlo separato: carne da una parte, cipolla dall’altra. Facendo soffriggere insieme, infatti, c’e’ troppa differenza di temperatura. La cipolla tende a bruciarsi e la carne non si dora mai perfettamente. Allora, parto con la carne: metto in un tegame la quantità di grasso che mi serve, in questo caso olio e il cucchiaio o ddi strutto,e faccio andare a fuoco forte.
Una volta che la carne è ben rosolata, vado con il vino: lo verso sulla carne e faccio evaporare, mescolando e raschiando il fondo con un cucchiaio di legno di quelli schiacciati, a paletta, ottimi appunto per deglassare i fondi di cottura. Intanto, in un tegame largo, sistemo le verdure tagliate a velo e l’olio e spolvero di sale grosso. Accendo e soffriggo, mescolando spesso. Non appena le cipolle sono dorate le metto insieme alla carne (in un tegame possibilmente di coccio), aggiungo il concentrato e l’alloro (se decido di usarli) e inizio la cottura. A fuoco leggero, il più leggero possibile: più passa sarà la temperatura, più lunga sarà la cottura, più buona sarà la genovese.
Se il fuoco è abbastanza basso e le cipolle di buona qualità, non ci sarà bisogno di aggiungere alcun liquido di cottura. Altrimenti, ma se è proprio necessario, aggiungete acqua. O brodo, o vino. Quello che avete o che preferite, purché caldo, e continuate a cuocere. E, soprattutto, portate pazienza: che una buona genovese richiede almeno 3-4 ore di cottura. Altrimenti, non è genovese ma solo, parafrasando Eduardo, “carne ca’cipolla”.
In ultimo, la pasta. Buona, che la genovese non merita paste mediocri. Possibilmente ziti, possibilmente spezzati a mano (io non li avevo ed ho dovuto accontentarmi di quello che passava il convento): perchè la genovese, finita la pasta, riserva una sorpresa: i piccoli pezzettini di pasta che si formano quando spezzate gli ziti con le dita: che in fondo al piatto, formano un intingolo perfetto. Cui, per quanto poco elegante possa sembrare, non riuscirete a rinunciare. E scolatela bene: che la genovese, come ogni rrau’ che si rispetti non deve mostrare tracci di acquetta sul fondo del piatto. Diluirebbe il sapore, e rovinerebbe la cremosità.
E la Genovese napoletana. come direbbe il mio amico Tommaso, è piatto da meritare rispetto. Tanto che molti, al momento di mangiarla, fanno il segno della croce.
Ps. se vi piace questo piatto date un’occhiata anche alla sua versione vegan! Tradizionale anche questa, a casa mia si chiamava “finta genovese“.